La verità di chi nasce... l'incontro della storia. "Prenatal and Birth Therapy"




IL LAVORO CON IL BAMBINO
Se un giorno entrassi in una stanza piena di mamme e dichiarassi che la nascita non è un’esperienza dolorosa, sicuramente tutte si rivolterebbero indignate contro di me. Al contrario, l’idea che la nascita possa essere dolorosa per il bambino così come lo è per la madre, ha ancora pochissimo peso.


Sappiamo che il dolore per la madre è causato dal contatto del bambino, in particolare la testa e le spalle, con la cervice e le ossa della pelvi, ed è sorprendente che sia data così scarsa attenzione all’esperienza che il bambino fa di questo contatto. Questo è particolarmente vero se consideriamo le ossa del cranio del neonato che sono sottilissime e morbide. Che i bambini siano profondamente influenzati dal modo in cui nascono e che questo abbia conseguenze profonde attraverso la vita, è una realtà su cui non ho più alcuna riserva. Il mio interesse non riguarda tanto come la nascita dovrebbe o non dovrebbe essere. Il mio interesse è piuttosto di prendere le parti di quei bambini le cui voci non sono state ascoltate e di portare l’attenzione a quella cecità culturale, che non riesce a vedere come la nascita e la nostra esperienza nell’utero materno, modellino la nostra vita, il senso di chi siamo e il mondo che abitiamo. La psicologia pre e peri-natale è una branca ancora semi sconosciuta della psicologia, che si occupa delle primissime esperienze della vita. Nel corso degli ultimi decenni sono diventate disponibili moltissime evidenze, studi, ricerche su questo tema. Dati che provengono dalle ecografie, dalle ricerche sulle origini fetali, studi sulla consapevolezza, la teoria del campo  e la biologia cellulare, che danno credibilità alle esperienze degli psicoterapeuti, e alle memorie di esperienze molto precoci che emergono nel lavoro a orientamento somatico. Il mio interesse su questo soggetto è emerso dal lavoro corporeo soprattutto come osteopata pediatrica. Nella mia pratica osteopatica ho imparato a lavorare con le conseguenze strutturali dei traumi della nascita, ma non con il loro contenuto esperienziale.  E' stato l'incontro con Dominique De Granges e la formazione in operatore di  'Prenatal and Birth Therapy', che mi ha aperto l'orizzonte a tutte le tematiche relative al lungo viaggio verso la Nascita (che ovviamente non comprende solo il travaglio e il parto). Man mano che continuo a lavorare, mi rendo conto sempre di più che i bambini esprimono la loro esperienza attraverso il linguaggio del corpo e il pianto. Quest’ultimo infatti non sempre si riferisce a un bisogno. Essenzialmente i bambini raccontano la loro storia se noi siamo in grado di ascoltarla. E' così, cercando in questa direzione, che ho conosciuto Matthew Appleton, mio  coach in 'Baby Training', una formazione triennale tutta mirata al lavoro con i bambini e alla completa comprensione del linguaggio corporeo (BBL per gli inglesi) termine che Appleton ha attinto dal lavoro fatto con Karlton Terry. 

Il mondo interno del bambino.  Noi tutti tratteniamo esperienze nei nostri corpi e il concetto di memoria del corpo è ormai ampiamente riconosciuto tra i terapeuti a orientamento corporeo. Crescendo non veniamo educati o incoraggiati a portare attenzione al nostro mondo interno di sensazioni e immagini. La conoscenza cognitiva diventa prioritaria e noi perdiamo il contatto con il flusso dell’esperienza incarnata finché questa diventa un sussurro nell’ombra, piuttosto che una ricca sorgente di consapevolezza e sensibilità. I bambini sono profondamente immersi nella loro esperienza corporea, che è immediata e vitale. Non hanno concetti o more sociali che li distraggano dall’esprimere, senza inibizioni, ciò che sentono: un'intera gamma di espressioni emotive, che va dalla disperazione intensa, alla gioia radiosa. E’ da bambini che impariamo ciò che è accettabile e ciò che non lo è, quando veniamo distolti da un certo tipo di esperienze e ricompensati per altre. Non è un caso che tendiamo a chiamare buoni i bambini che sono calmi. Ma non sempre un bambino calmo è un bambino felice. Potrebbe anche essere un bambino che ha rinunciato a quel contatto empatico di cui aveva bisogno. E’ stato documentato che i bambini fioriscono con l’empatia. Rispondono alle espressioni facciali e al tono della voce come il partner in una danza. Quello che è meno compreso è che i bambini non esprimono solo i loro bisogni immediati, ma anche le esperienze trattenute nel corpo che derivano dalla nascita e dalla vita nell’utero. I bambini sono profondamente in contatto con la memoria del corpo, molto di più di quanto lo sia la maggioranza di noi adulti. Uno dei motivi per cui i bambini piangono di più quando sono stanchi o a una cert’ora della notte, è perché, non essendo distratti, sentono più acutamente i loro vissuti corporei. Lo possiamo sperimentare anche da adulti quando ci rilassiamo o ci lasciamo andare al sonno. Iniziamo a diventare consapevoli di dolori che non notavamo durante il giorno. Ci sovvengono ricordi, questioni che ci disturbano. Potremmo sentirci in ansia per questioni che avevamo tralasciato durante il giorno. Per i bimbi è lo stesso: ad eccezione del fatto che loro non hanno la storia fatta di parole, ma di sensazioni e immagini.

Pianto di bisogno e pianto di memoria. Una delle competenze più utili che ho imparato e che cerco di trasferire ai genitori e agli educatori, è il saper distinguere un pianto che esprime un bisogno da un pianto che esprime una memoria. Il primo ci parla dell’essere affamati, scomodi, sovra o sotto stimolati, stanchi. Quando questi bisogni di base vengono soddisfatti il pianto si interrompe e il bambino si calma. Il pianto che esprime una memoria avviene quando il bambino ha sensazioni e immagini che sono relative alle sue esperienze precedenti, come i momenti durante la nascita in cui si è sentito sopraffatto. Questo pianto si associa a movimenti corporei ripetitivi: spingere freneticamente con le gambe, grattare e sfregare continuamente una parte della testa, o il tirare ripetutamente un orecchio. Questi movimenti a volte esprimono un impulso che è stato bloccato, come potrebbe essere il tentativo di spingere attraverso il canale del parto, bloccato da un anestetico. Potrebbero anche indicare un’area  del cranio compressa dalle ossa del bacino o un momento in cui il bambino si è sentito disorientato e perduto. Ci sono momenti, nel processo di nascita, in cui il bambino non sa se riuscirà a sopravvivere come quando è sospinto da una pressione troppo intensa, inondato dagli ormoni dello stress o dai farmaci che arrivano dal cordone ombelicale, deprivato di ossigeno per la compressione durante le contrazioni. I neonati e i bambini esprimono emozioni forti che ognuno di noi associa a queste esperienze: rabbia, panico, tristezza, disorientamento. I bambini si sentono zittiti quando un pianto di memoria viene accolto come se fosse un pianto di bisogno e dopo innumerevoli tentativi rinunciano ad ottenere ascolto, rinunciano a una risposta empatica. Questa rinuncia viene spesso scambiata per contentezza perché il bambino appare calmo e buono. Ma immaginate il seguente scenario: state tornando a casa quando uno sconosciuto si avvicina. Bruscamente vi spinge in un vicolo e minaccia di colpirvi se non gli date i soldi. Cercate di dargli quello che avete, lui vi spinge e vi fa cadere. Spaventati e disorientati lentamente vi rialzate, vi guardate intorno per accertarvi che sia andato via. Vedendo che in effetti è andato incominciate a tremare, ma il vostro primo pensiero è di mettervi in salvo. Quindi, cercando di rimettervi insieme in qualche modo, andate verso casa. Arrivati alla porta di casa vedete il vostro partner che  vi viene incontro. Le vostre emozioni finalmente possono uscire, iniziate a tremare e a piangere. Ciò di cui avete più bisogno è di poter raccontare la vostra storia e avere il vostro partner che vi ascolta. Immaginate invece che vi dica di fare silenzio e vi infili una nocciolina in bocca. Se questa scena si ripete per un numero sufficiente di volte, voi deciderete che non vale la pena raccontare la vostra storia. Inizialmente vi sentirete furibondi, ma col tempo vi rassegnerete. In superficie sembrerete calmi, ma sotto ci sarà un enorme quantità di stress e risentimento. Questa situazione è analoga a quella di un neonato che piange perché ricorda, e come risposta viene attaccato al seno e gli viene chiesto di stare zitto. Dove l’analogia non regge è che noi dovremmo essere incredibilmente insensibili per non riconoscere i segnali di un partner adulto che sta esprimendo stress dopo una situazione traumatica. Come genitori siamo spesso confusi di fronte al pianto del nostro bambino e non sappiamo come rispondere. Ci hanno insegnato che i bambini piangono perché hanno fame, freddo, o perché vogliono essere cambiati. Non ci è mai stato detto che è importante parlare con i bambini dei traumi che hanno incontrato e che un ascolto empatico poteva aiutarli a lasciare andare quello stress. Qui si sottolinea il valore dell’ empatia accurata: rispecchiare i movimenti del corpo, riconoscere  ciò che stai vedendo e sentendo nell’espressione del  bambino. Potremmo dirgli per esempio: “Sembri molto triste”, oppure: “Posso sentire quanto sei arrabbiato”. I bimbi sentono quando li stai incontrando con un’ empatia accurata. Il baby body language è una lingua esatta e, attraverso lo studio e un training appropriato, è possibile identificare con precisione lo stadio del processo di nascita di cui il bambino ci sta parlando.

IL SUPPORTO AI GENITORI
Aiutare i genitori a distinguere tra un pianto che esprime un bisogno da quello che esprime una memoria è uno dei fattori più importanti nel lavoro con i bambini. Questo richiede un cambiamento di paradigma piuttosto profondo. Un'altra considerazione clinica è la soglia di tolleranza dei genitori. E’ faticoso per i genitori ascoltare la storia dei propri figli perché li rende consapevoli di quanto sia stato doloroso il processo di nascita per il loro bambino. Ma è proprio attraverso l’ascolto e il riconoscimento del dolore, che il bambino può completare e superare quel vissuto. Quando il bambino rilascia lo stress il suo corpo diventa più morbido e vitale. Molti sintomi come per esempio le coliche, che sono spesso l’espressione di un pianto di memoria, o tanti disturbi nell'addormentamento e nel sonno, scompaiono appena il trauma sottostante si risolve. Comportamenti ripetitivi e movimenti frenetici e ossessivi non vengono più espressi. Aiutare i genitori a leggere il linguaggio del corpo e a cogliere le nuances emozionali del bambino, risveglia una nuova consapevolezza dell’innata saggezza dei propri figli. Ciò che sembrava incomprensibile ora acquista senso. Coinvolgere i genitori nel processo e lavorare con il loro permesso passo dopo passo, li fa sentire nel loro potere e genera quella sicurezza che permette di continuare a supportare i loro bambini anche fuori dalla sessione. Quando il sintomo si allevia, la comunicazione diventa più facile e il legame familiare si approfondisce. Un bambino che piange senza un’ evidente ragione crea confusione e tensione nella vita familiare. Il pianto costante sconvolge le relazioni tra i genitori e il bambino e tra gli altri membri della famiglia. Crea una forte pressione sui genitori che cercano di fare il loro meglio per rispondere ai bisogni del bambino, senza però riuscire a calmarlo. Nessuno prima gli aveva parlato del pianto di memoria e loro non sanno cosa fare.

Le conseguenze di un trauma non risolto. E’ difficile riconoscere il dolore attraversato dal bambino per arrivare fino a noi. Forse questo è uno dei motivi per cui ci è così difficile guardare ai traumi della nascita. Un’altra ragione potrebbe essere che questo dolore risuona con i nostri traumi irrisolti. Questo coinvolge molti diversi livelli: fisico, emozionale e psicologico. A livello del corpo fisico forze di compressione e di torsione possono rimanere trattenute nel corpo. I pattern di compensazione creano a loro volta delle tensioni nel corpo e creano una miriade di problemi di salute. I più ovvi sono problemi di schiena, emicranie, tematiche dentali, tensioni muscolari e disfunzioni organiche. Un trauma irrisolto ha un effetto anche a livello del sistema nervoso che rimane sensibile allo stress con risposte di sopravvivenza che vanno ben oltre quelle necessarie ad affrontare il problema che si pone nel presente.  Michel Odent, pioniere nel lavoro sulla nascita, paragona questo processo di sensibilizzazione a un termostato che è stato regolato troppo in basso e che si accende quando in realtà non è ancora necessario. Questo rende difficile la regolazione emozionale e quindi la relazione con gli altri. Ci sono periodi in cui siamo sotto pressione, o stiamo attraversando un cambiamento, in cui queste risposte di sopravvivenza vengono stimolate con facilità. Una separazione dalla madre durante l’infanzia, andare all’asilo nido o a scuola, la pubertà, cambiare casa, iniziare un nuovo lavoro o una nuova relazione, ecc. Le conseguenze psicologiche di un trauma irrisolto si intessono nelle nostre vite in molti modi. Bambini che si sono sentiti sottrarre il proprio potere personale dall’intervento medico, potrebbero crescere con questo senso di mancanza di potere e fiducia in sé stessi. Bambini che si sono sentiti invasi da un intervento medico potrebbero rifiutare aiuto e diventare estremamente anti-autoritari. Chi si è sentito tratto in salvo da un intervento potrebbe sviluppare la tendenza di chiedere di essere salvato dagli altri ogni volta che si sente sotto pressione. Ma non sono solo gli interventi medici che creano queste attitudini e convincimenti. Anche in una nascita libera da interventi i bambini vivono stress intensi che possono creare convinzioni profonde. Uno dei motivi è che il sistema nervoso tende a creare connessioni neurologiche intorno agli eventi che sono stati molto stressanti o minacciosi per la vita. Questo ci permette di identificare e prevedere un pericolo e quindi di aumentare le possibilità di sopravvivenza. L’altro lato della medaglia è che queste attitudini possono portarci a scelte che non sempre ci sono utili, oppure ci possono limitare nella capacità di sviluppare altre competenze. Queste non sono considerazioni teoriche, ma temi reali che emergono in terapia nel lavoro con gli adulti (vedi Imprinting). Molti terapeuti, inclusa me, non hanno iniziato la loro carriera pensando che la nascita avesse un così profondo impatto su di noi. Sono stati i nostri pazienti a condurci a queste conclusioni e non il contrario. I traumi precoci non sono solo il prodotto della nascita. La nascita è solo un evento, anche se uno dei più importanti nel continuum dell’esperienza. Come ci siamo relazionati e abbiamo comunicato quando eravamo nell’utero crea il nostro tono emotivo di base. Dopo la nascita, se veniamo ascoltati con empatia accurata siamo in grado di rilasciare le tensioni e gli ormoni dello stress che si sono accumulati nel corpo, possiamo sviluppare autostima, imparare che il mondo ci considera degni di essere ascoltati e che i nostri bisogni possono essere accolti.  Il grande dono nel riconoscere i traumi della nascita è che finalmente possiamo vedere i neonati come essere umani senzienti che hanno avuto esperienze e che possono comunicarci queste esperienze. Abbiamo bisogno di essere supportati e contenuti nella consapevolezza per avere fiducia di essere okay e che il mondo sia okay. Ascoltare il pianto che ricorda e ascoltare la storia di dolore del bambino è incontrare queste ferite. Non si tratta di un ascolto facile, ma, alla lunga è molto più facile del non ascolto.
  (tratto da un articolo di Matthew Appleton, rivisto da Giovanna)